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Per tutta risposta Suegar accennò in direzione della volta della cupola.

– Sai che qui siamo tenuti tutti sotto controllo: se lo vogliono, possono vedere ogni nostro gesto, sentire ogni parola… cioè, ammesso che là fuori ci sia ancora qualcuno. Potrebbero essersene andati tutti e aver dimenticato di disattivare la cupola. A volte faccio sogni del genere, sogno di essere chiuso in questa cupola per sempre, poi mi sveglio e mi trovo qui… ci sono momenti in cui non so neppure con certezza se sono sveglio o sto dormendo. Le sole indicazioni che ci sia ancora qualcuno sono il cibo che continua ad arrivare e il fatto che di tanto in tanto… anche se ormai accade sempre più di rado… appare qualcuno nuovo, come te. Però suppongo che il cibo potrebbe essere immesso automaticamente, e che tu potresti essere un sogno…

– Sono ancora là fuori – garantì Miles, cupo.

– Sai – sospirò Suegar, – in un certo senso ne sono quasi lieto.

Tenuti sotto controllo, certo… Miles, che sapeva tutto su quel controllo mediante monitor, lottò per soffocare l'improvviso impulso di agitare una mano e di gridare «ciao, mamma!» Quello di gestire i monitor doveva essere un lavoro monotono per gli idioti addetti ad esso, e lui si augurò che finissero per morire di noia.

– Ma questo cosa c'entra con le ragazze, Suegar? – domandò.

– Ecco, all'inizio tutti erano decisamente inibiti da quello… – spiegò lui, indicando verso l'alto, – ma dopo un po' abbiamo scoperto che loro non interferivano, qualsiasi cosa facessimo. Non interferivano affatto. Ci sono stati alcuni stupri, e da allora le cose si sono… deteriorate…

– Allora devo supporre che l'idea di scatenare una rissa e di aprirsi un varco nella cupola quando i Cetagandani mandassero delle truppe a riportare l'ordine è da scartare in partenza, giusto?

– È una cosa che è stata provata una volta, molto tempo fa… non so quanto – spiegò Suegar, torcendosi ancora la barba. – I Cetagandani non sono obbligati a venire dentro per porre fine ad una rissa, si limitano a ridurre il diametro della cupola, e quella volta lo hanno ridotto a circa duecento metri. Se volessero, nulla potrebbe impedire loro di ridurlo ad un solo metro, con tutti noi ancora dentro. In ogni caso, questo ha posto fine alla rissa. Un'altra cosa che possono fare è ridurre a zero la permeabilità ai gas della cupola e lasciare che finiamo tutti in coma per mancanza di ossigeno. Questo è accaduto due volte.

– Capisco – commentò Miles, sentendo i peli che gli si rizzavano alla base del collo.

In quel momento a circa cento metri di distanza da loro la parete della cupola cominciò a gonfiarsi verso l'interno come un'aneurisma.

– Cosa sta succedendo laggiù? – s'informò Miles, battendo un colpetto sul braccio di Suegar. – Vengono introdotti altri nuovi prigionieri?

– Uh oh – borbottò Suegar, guardandosi intorno. – Qui non siamo in una buona posizione.

E per un momento restò fermo, come incerto se andare avanti o tornare indietro.

Intanto un'onda di movimento si stava diffondendo per il campo, allargandosi a partire dal rigonfiamento a mano a mano che tutti si alzavano in piedi e si giravano verso quel lato della cupola come attratti da una forza magnetica. Piccoli capannelli di uomini si raccolsero qua e là e alcuni velocisti spiccarono la corsa, mentre altri non si alzarono affatto. Lanciando un'occhiata in direzione del gruppo delle donne, Miles vide che una metà di loro stava formando in fretta una sorta di falange.

– Siamo così vicini… dannazione, forse abbiamo una possibilità – disse infine Suegar. – Vieni!

E si avviò verso il rigonfiamento della cupola al passo più rapido di cui era capace, un lento trotto, cosa che costrinse Miles a spiccare a sua volta la corsa, cercando di far sobbalzare le costole il meno possibile; ben presto cominciò però ad avere il respiro affannoso e l'accelerarsi della respirazione aggiunse un dolore intollerabile a quello che già gli attanagliava il torso.

– Cosa stiamo facendo? – cercò di dire a Suegar, ma prima che avesse finito il rigonfiamento si dissolse in un leggero tremolio e lui vide finalmente cosa stavano facendo… vide tutto.

Adesso davanti alla lucente barriera della cupola di forza c'era una pila marrone scuro alta circa un metro, profonda due e larga tre, formata senza ombra di dubbio da barre nutritive, le cosiddette barre RAT indicate convenzionalmente con le iniziali di quelli che avrebbero dovuto essere i loro principali ingredienti. Ciascuna ammontava a millecinquecento calorie e conteneva venticinque grammi di proteine e il cinquanta per cento del fabbisogno umano di vitamine A, B, C e così via… e pur avendo il sapore di un ciottolo ricoperto di zucchero poteva mantenere in vita e in salute una persona a tempo indefinito, a patto che si riuscisse a tollerare di continuare a nutrirsene.

Vogliamo fare una gara, ragazzi, per indovinare quante barre ci sono in quel mucchio? pensò. Nessuna gara, non devo neppure misurare l'altezza del mucchio e dividerla per tre centimetri: devono essere esattamente 10,215. Davvero ingegnoso.

Nel corpo degli Operatori Psicologici Cetagandani ci dovevano essere delle menti davvero notevoli, al punto che Miles si chiese cosa avrebbe dovuto fare se fossero cadute nelle sue mani… arruolarle o sterminarle? Quel breve volo di fantasia fu troncato di netto dalla necessità di restare con i piedi piantati nel mondo della realtà presente, in quanto circa 10.000 persone, tranne coloro che avevano ceduto alla disperazione o erano troppo deboli per muoversi, stavano cercando di piombare contemporaneamente su quei sei metri quadrati di campo.

I primi velocisti raggiunsero il mucchio, afferrarono una bracciata di barre e cercarono di allontanarsi altrettanto in fretta. Alcuni riuscirono ad arrivare fino alla protezione degli amici, divisero con loro il bottino e si ritrassero dal centro di quel maelstrom vivente, ma altri non fecero in tempo a schivare gruppetti di soggetti come i grossi e cupi compari e furono violentemente alleggeriti delle loro prede. La seconda ondata di velocisti, che non riuscì ad allontanarsi in tempo, si venne invece a trovare bloccata contro la parete della cupola dalla sopraggiungente marea di corpi.

Sfortunatamente, Miles e Suegar fecero parte di questa seconda categoria, e ben presto il campo visivo di Miles si ridusse ad una massa sudata, ansante, puzzolente e imprecante di gomiti, di toraci e di schiene.

– Mangia, mangia! – lo incitò Suegar, a bocca piena, mentre venivano separati dall'orda che stava sopraggiungendo.

La barra da lui afferrata fu però strappata dalle mani di Miles prima che questi si fosse raccapezzato abbastanza da seguire il consiglio del compagno, e del resto la sua fame era nulla se paragonata al terrore di restare schiacciato o… peggio ancora… di cadere e di essere calpestato. I suoi stessi piedi si mossero su qualcosa di morbido ma non gli riuscì di spingere con forza sufficiente a dare a quella persona… era un uomo oppure una donna?… la possibilità di rialzarsi.

Con il tempo la ressa si attenuò, permettendo a Miles di trovare il limitare della folla e di uscirne; barcollando si allontanò un poco e si lasciò cadere seduto nella polvere, scosso e tremante, pallido e gelato, con il respiro che gli gracchiava irregolarmente in gola.

Gli ci volle parecchio per ritrovare le forze e il controllo, perché per puro caso quell'esperienza aveva toccato il suo nervo più sensibile, evocato i suoi più cupi timori, minacciato la sua più grande debolezza.

Qui potrei morire senza aver mai visto il volto del nemico, pensò. Non sembrava però che ci fossero ossa rotte, tranne forse nel piede sinistro… non era certo delle sue condizioni, e di sicuro l'elefante che lo aveva calpestato era qualcuno che prelevava ogni volta più della sua giusta razione di barre nutrizionali.

D'accordo, decise infine, ho dedicato fin troppo tempo al riposo. In piedi, soldato. Era arrivato il momento di trovare il Colonnello Tremont.

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