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Le uniche strutture visibili erano una specie di grossi funghi di plastica grigia disposti lungo il perimetro della cupola a intervalli di circa cento metri uno dall'altro, intorno ai quali erano focalizzate le uniche tracce di attività. Dopo un momento Miles capì che si trattava di latrine.

Lui e altri tre prigionieri erano entrati nel campo attraverso un portale temporaneo che si era richiuso alle loro spalle prima che il momentaneo rigonfiamento della cupola di forze che conteneva l'accesso si aprisse davanti a loro. Il più vicino abitante della cupola, un uomo che giaceva a qualche metro di distanza su una stuoia per dormire identica a quella che Miles stringeva adesso fra le mani, sollevò il capo per fissare il gruppetto dei nuovi venuti, esibì un acido sorriso e si girò su un fianco in modo da dare loro le spalle. Nessun altro si prese la briga anche soltanto di alzare lo sguardo.

– Dannazione – borbottò uno dei compagni di Miles, stringendosi inconsciamente agli altri due.

Stando a quanto avevano affermato, quei tre avevano fatto parte un tempo della stessa unità, e Miles li aveva conosciuti appena pochi minuti prima, durante la fase finale della procedura d'immissione nel campo, nella quale erano stati consegnati a ciascuno di loro tutti i beni terreni che gli sarebbero serviti per vivere su Dagoola IV.

Tali beni erano costituiti da un solo paio di larghi calzoni grigi, una tunica grigia a maniche corte, una stuoia rettangolare arrotolata, una tazza di plastica… e basta. Soltanto questo e i numeri stampigliati sulla loro pelle. A Miles dava immensamente fastidio il fatto che i loro catturatori avessero scelto di apporre quei numeri nel centro della loro schiena, dove non li potevano vedere, e doveva lottare di continuo contro l'impulso di torcere il collo per cercare di vederli comunque, anche se spesso infilava la mano sotto la casacca per grattare un prurito che era esclusivamente psicosomatico in quanto non era possibile neppure avvertire la presenza dei numeri stampigliati.

D'un tratto nella scena apparve una traccia di movimento, costituita da quattro o cinque uomini che si stavano avvicinando: era forse finalmente arrivato il comitato di benvenuto? Miles aveva un disperato bisogno d'informazioni. Dove poteva trovare ciò che stava cercando, in mezzo a quegli innumerevoli uomini e donne vestiti di grigio? No, non innumerevoli, si corresse con fermezza: qui tutto era numerato.

Quelli erano i resti malconci del 3° e del 4° Battaglione di Rangers Corazzati, gli ingegnosi e tenaci difensori della Stazione di Trasferimento Garson; c'erano anche gli uomini del 2° Battaglione di Winoweh, che era stato catturato quasi intatto, e i superstiti del 14° Commandos, coloro che si erano salvati dopo la caduta della fortezza tecnologica di Nucleo Fallow… per l'esattezza diecimiladuecentoquattordici in tutto, i migliori combattenti del pianeta Marilac. Diecimiladuecentoquindici, adesso, contando anche lui stesso… ma doveva contarsi?

Il comitato di ricevimento si arrestò in una linea irregolare a qualche metro di distanza: i suoi componenti apparivano tutti alti, muscolosi, duri e non particolarmente amichevoli, con occhi spenti e incupiti, pieni di una noia letale che non era attenuata neppure dal loro attuale aspetto calcolatore.

I due gruppi, quello di tre uomini e quello di cinque, si valutarono a vicenda, poi i tre si girarono e cominciarono prudentemente ad allontanarsi. In ritardo Miles si rese conto che non appartenendo a nessuno dei due schieramenti si era venuto così a trovare isolato.

Isolato e fin troppo visibile. L'imbarazzante consapevolezza di sé e del proprio corpo, solitamente tenuta a freno dal semplice fatto che non aveva tempo da sprecare con essa tornò ad assalirlo all'improvviso. Era troppo basso, con un aspetto troppo strano… dopo l'ultima operazione le sue gambe avevano adesso la stessa lunghezza, ma di certo non erano abbastanza lunghe da permettergli di distanziare quei cinque. E poi, dove sarebbe potuto fuggire, in questo posto? Di conseguenza, cancellò la fuga dalle alternative possibili.

La fuga? Era meglio che cercasse di essere serio.

Non funzionerà, comprese tristemente, nel momento stesso in cui si avviava verso i cinque, ma d'altro canto questo era pur sempre più dignitoso che essere inseguito per poi arrivare allo stesso risultato.

Cercò di rendere il proprio sorriso austero anziché stupido ma non ebbe modo di stabilire se era riuscito nell'intento.

– Salve – esordì. – Sapreste dirmi dove posso trovare la Divisione del 14° Commandos del Colonnello Guy Tremont?

Uno dei cinque sbuffò in maniera sardonica e altri due si spostarono alle spalle di Miles.

Uno sbuffo era quasi un'espressione verbale, e comunque era pur sempre un'espressione… un punto di partenza, un appiglio. Di conseguenza Miles focalizzò la propria attenzione su quell'individuo in particolare.

– Dimmi il tuo nome, grado e compagnia di appartenenza, soldato.

– Non ci sono gradi qui, mutante, e neppure compagnie o soldati. Niente.

Miles si lanciò un'occhiata intorno: naturalmente era stato circondato.

– Tu comunque hai degli amici – osservò.

– E tu no – ribatté il suo interlocutore, arrivando quasi a sorridere.

A questo punto Miles si chiese se forse non fosse stato prematuro scartare l'opzione della fuga.

– Non ci conterei se fossi in… uh!

Un calcio ai reni sferratogli alle spalle gli troncò a mezzo la frase… così bruscamente che per poco non si staccò la lingua con un morso… e lo scagliò a terra, facendogli sfuggire di mano la stuoia e la tazza.

Grazie a Dio questa volta si era trattato di un calcio assestato con un piede nudo e non con stivali da combattimento… e secondo le regole della fisica newtoniana adesso il piede del suo aggressore avrebbe dovuto dolere quanto la sua schiena. Ottimo. Splendido. Forse si sarebbero anche ammaccati le nocche nel prenderlo a pugni…

Uno dei membri del gruppo raccolse la sua tazza e la stuoia.

– Vuoi anche i suoi vestiti? – chiese ad un compagno. – Per me sono troppo piccoli.

– No.

– Sì – intervenne l'uomo che aveva parlato per primo. – Prendili lo stesso. Forse potremo usarli per adescare una delle donne.

Miles si sentì sfilare la tunica e i pantaloni, ma era troppo occupato a proteggersi la testa dai calci che piovevano di tanto in tanto… cercando di intercettarli obliquamente con il ventre o la cassa toracica e non con le braccia, le gambe o la mascella… per tentare di lottare per conservare i vestiti. Una costola incrinata era la lesione più grave che si poteva permettere in quel posto, all'inizio della missione, mentre la frattura della mascella sarebbe stata il danno peggiore.

I suoi assalitori desistettero soltanto quando erano ormai ad un passo dallo scoprire con la pratica quanto fossero fragili le sue ossa.

– È così che vanno le cose qui, mutante – dichiarò quello dei cinque che gli aveva parlato in precedenza, con il respiro un po' ansante.

– Sono nato nudo – ansimò Miles, steso nella polvere, – ma questo non mi ha fermato.

– Un dannato galletto sfrontato – commentò l'uomo.

– E lento ad imparare – aggiunse un altro dei cinque.

La seconda battuta fu peggiore della prima e gli fruttò almeno due costole incrinate… la mascella riuscì a stento a salvarsi da una frattura a prezzo di un imprecisato e doloroso danno al polso sinistro, sollevato di scatto a schermarla. Questa volta Miles soffocò l'impulso di salutare i suoi aggressori con un'ultima frecciata e rimase disteso in silenzio nella polvere, desiderando di perdere i sensi.

Restò raggomitolato in preda al dolore per un tempo molto lungo, anche se non avrebbe saputo dire per quanto. L'illuminazione della cupola di forza era uniforme, priva di ombre, immutevole e senza tempo come l'eternità… del resto l'inferno era eterno, giusto? E di certo questo posto aveva troppe dannate somiglianze con l'inferno.

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