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CAPITOLO TERZO

Il re pazzo

Dormii fino a tardi e passai la coda della mattinata rileggendo gli appunti che avevo preso sull'etichetta di Palazzo e le osservazioni sulla psicologia getheniana e sulle usanze locali che erano state fatte dai miei predecessori, gli Investigatori. Non assorbivo quel che leggevo, ma questo non contava, poiché già sapevo ogni parola a memoria, e leggevo soltanto per fare tacere la voce interiore che continuava a dirmi È andato tutto male, è stato sbagliato tutto fin dall'inizio. Quando non riuscii a far tacere quella voce interna, decisi di discutere con essa, asserendo che avrei potuto cavarmela ugualmente senza Estraven… forse ancor meglio che con lui. Dopotutto, il mio lavoro su Inverno era un lavoro solitario. Esiste sempre soltanto un Primo Mobile. Le prime notizie dell'Ecumene su qualsiasi mondo sono pronunciate da una sola voce, da un uomo presente in carne e ossa, presente e solo. Quest'uomo può venire ucciso, come Pellelge lo era stato su Taurus IV, o rinchiuso tra i pazzi e i dementi, come lo erano stati i primi tre Mobili su Gao, uno dopo l'altro; malgrado ciò, questa usanza è mantenuta, perché funziona. Una voce che pronuncia la verità è una forza più grande delle flotte e delle armate, dando tempo al tempo; molto, molto tempo; ma il tempo è una delle poche cose che l'Ecumene ha in sovrabbondanza… Tu no, invece, diceva la voce interna, ma con il ragionamento la feci tacere, e arrivai al Palazzo, per la mia udienza regale, alla Seconda Ora, pieno di calma e risoluzione. Tutto questo mi fu portato via da un colpo violento, nella vasta anticamera, prima ancora che io vedessi il re.

Guardie di palazzo e attendenti del Re mi avevano condotto nell'anticamera, attraverso i lunghi saloni e i corridoi della Casa del Re. Un ciambellano mi chiese di aspettare, e mi lasciò solo nell'alta sala priva di finestre. E rimasi là, in piedi, tutto agghindato e pronto per una visita al monarca. Avevo venduto il mio quarto rubino (avendo gli Investigatori riferito che i getheniani danno ai gioielli di carbonio un valore assai simile a quello dato loro dai terrestri, ero venuto su Inverno con una borsa piena di pietre preziose, per aprirmi la strada in quella società con Una solida moneta di scambio), e avevo speso un terzo del ricavato in vestiti, per la parata del giorno prima e per la visita di oggi, l'udienza regale: tutto nuovo, pesante e ben fatto come è caratteristica comune degli abiti in Karhide, una camicia bianca di pelliccia lavorata, pantaloni grigi, la lunga sopratunica simile a un tabarro, hieb, di pelle verde-azzurrina, un copricapo nuovo, nuovi guanti infilati con l'angolazione appropriata sotto la cintura ampia dello hieb, nuovi stivali… La sicurezza di essere vestito elegantemente aumentava il mio sentimento di calma e risoluzione. Mi guardai intorno, calmo e risoluto.

Come tutta la Casa del Re, questa sala era alta, rossigna, antica, spoglia, con un brivido umido, muschioso nell'aria, come se le correnti d'aria non spirassero dalle altre sale, ma da altri e più remoti secoli. Un fuoco rugghiava e rosseggiava nel caminetto, ma non serviva a molto. I fuochi, in Karhide, erano fatti per riscaldare lo spirito, e non il corpo. L'Era delle Invenzioni meccanico-industriale in Karhide è antica almeno di tremila anni, e durante questi trenta secoli i karhidiani hanno sviluppato degli apparecchi per il riscaldamento centrale eccellenti ed economici, utilizzando il vapore, l'elettricità, e altri principii; ma non installavano questi impianti nelle loro case. Forse, se l'avessero fatto, avrebbero perduto la loro adattabilità fisiologica al clima, come gli uccelli artici tenuti in tende calde, se venivano liberati di nuovo, si congelavano le zampe. Io, comunque, che ero un uccello tropicale, avevo freddo; freddo in un modo all'aperto, e freddo in un altro modo al coperto, incessantemente e più o meno completamente, freddo. Camminai avanti e indietro, per riscaldarmi. C'era ben poco, oltre a me e al caminetto, nella lunga anticamera: uno sgabello e un tavolo sul quale c'erano un vaso e un'antica radio di legno intagliato, con intarsi d'argento e d'osso, un nobile pezzo di artigianato. La radio era molto bassa, parlava quasi in un sospiro, e io alzai il volume appena un poco, sentendo il Bollettino di Palazzo sostituire il monotono Canto o Lamento che veniva trasmesso in quel momento. Di norma, i karhidiani non leggono molto, e preferiscono ascoltare, e non vedere, sia i notiziari che la letteratura; i libri e gli apparecchi televisivi sono assai meno comuni delle radio, e non esistono giornali. Avevo perduto il Bollettino del mattino, a casa, e adesso ascoltavo un po' assente, con la mente altrove, finché la ripetizione del nome per diverse volte non attirò il mio orecchio e finalmente fermò il mio inquieto passeggiare per l'anticamera. Che cosa dicevano di Estraven? Un proclama veniva riletto in quel momento.

«Therem Harth rem ir Estraven, Lord di Estre in Kermlandia, in forza di questo ordine perde il titolo del Regno e il suo seggio nelle Assemblee del Regno, e gli viene ordinato di abbandonare il Regno e da tutti i Domimi di Karhide. Se egli non sarà uscito dal Regno e da tutti i Dominii entro tre giorni, o se nel corso della sua vita egli ritornerà nel Regno, verrà messo a morte da qualsiasi persona senza ulteriore giudizio. Nessun cittadino di Karhide permetterà ad Harth rem ir Estraven di parlargli, o di restare nella sua casa o sulle sue terre, sotto pena di detenzione nelle segrete del Regno, né alcun cittadino di Karhide potrà dare o prestare ad Harth rem ir Estraven denaro o beni di qualsiasi genere, né saldare alcun debito contratto con lui, sotto pena di detenzione nelle segrete del Regno, e di multa e confisca. Che tutti i cittadini della nazione di Karhide sappiano e dicano che il crimine per il quale Harth rem ir Estraven viene esiliato è il crimine di Tradimento: avendo egli raccomandato privatamente e pubblicamente, in Assemblea e a Palazzo, fingendo di prestare un leale servizio al suo Re, che la Nazione-Dominio di Karhide rinunciasse alla propria sovranità e ai propri poteri per diventare una nazione inferiore e suddita in una certa Unione di Popoli, a riguardo della quale tutti gli uomini devono sapere e dire e ripetere che simile Unione non esiste, essendo uno strumento e una fantasia infondata di un certo gruppo di traditori e cospiratori che cercano d'indebolire l'Autorità di Karhide nel suo Re, a profitto dei reali e attuali nemici del paese. Odguyrny Tuwa, Ottava Ora, nel Palazzo di Erhenrang: ARGAVEN HARGE».

L'ordine era stampato e affisso su diverse porte e posti di guardia, in tutta la città, e quanto precede è la fedele trascrizione di una di queste copie.

Il mio primo impulso fu semplice. Spensi la radio, come per impedirle di fornire delle prove contro di me, e mi avvicinai alla porta. Là, naturalmente, mi fermai. Ritornai davanti al tavolo, accanto al caminetto, e rimasi immobile. Non ero più calmo, né risoluto. Avrei voluto aprire la mia valigia, estrarne l'ansible, e inviare un Allarme Urgente ad Hain. Soffocai anche questo impulso, poiché era ancor più stupido del primo. Fortunatamente, non ebbi tempo per altri impulsi. La doppia porta, all'altra estremità dell'anticamera, si era aperta, e il ciambellano si fece da una parte, per lasciarmi passare, e mi annunciò: — Genry Ai — … il mio nome è Genly, ma i karhidiani non sanno pronunciare la «elle»… e dopo avermi annunciato, mi lasciò nella Sala Rossa, con Re Argaven XV.

Un'immensa sala alta e lunga, quella Sala Rossa della Casa del Re. Mezzo miglio tra un focolare e l'altro. Mezzo miglio di altezza, fino al soffitto sostenuto da grandi travi, una sala piena di arazzi e bandiere rosse e polverose, che gli anni avevano sbiadito e stracciato ai margini. Le finestre sono soltanto fessure o feritoie nelle spesse pareti, le luci poche, fievoli, e in alto. I miei stivali nuovi fanno eck, eck, eck, eck, mentre io percorro la sala avvicinandomi al re, un viaggio di sei mesi.

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