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Cercai di restare escluso da ogni contatto con le menti dei Profeti. Quella silenziosa tensione elettrica mi rendeva inquieto, mi dava un tremendo disagio, per il senso di essere risucchiato in essa, di diventare un punto o una figura di quel disegno, di entrare a fare parte della ragnatela. Ma quando alzai una barriera, fu molto peggio: mi sentii tagliato fuori e rinchiuso, nascosto tremante nella mia mente ossessionata da allucinazioni di vista e di tatto, una pentola ribollente di folli immaginazioni e nozioni, improvvise visioni e sensazioni tutte pervase da una violenta carica sessuale, e grottescamente violente, un ribollire rosso e nero di rabbia erotica, di furia erotica. Ero circondato da enormi pozzi spalancati, bocche d'inferno, perdevo l'equilibrio, e cadevo, cadevo… Se non avessi potuto chiudere fuori della mia mente questo caos orrendo sarei veramente caduto, sarei impazzito, e non c'era modo di chiuderlo fuori. Le forze empatiche e paraverbali al lavoro, immensamente potenti e confuse, che sorgevano dalla perversione e dalla frustrazione del sesso, sorgevano dalla pazzia che distorce il tempo, e sorgevano da una spaventosa disciplina di concentrazione totale, e di totale apprendimento della realtà immediata, erano troppo al di là del mio controllo, della mia capacità di resistere. Eppure esse erano controllate: il centro era sempre Faxe. Ore e secondi passarono, il chiaro di luna brillava sulla parete sbagliata; non c'era più chiaro di luna, c'erano soltanto tenebre, e al centro di tutte le tenebre Faxe: il Tessitore: una donna, una donna vestita di luce. La luce era d'argento, l'argento era armatura, una donna in armatura con una spada. La luce bruciò improvvisa e intollerabile, la luce lungo i fianchi della donna, il fuoco, e lei gridò ad alta voce, in preda al terrore e al dolore, «Sì, sì, sì!»

La cavernosa risata del Pazzo cominciò, «Ah ah ah ah,» e si sollevò alta e sempre più alta nel grido intessuto e scintillante che continuava e continuava, molto più a lungo di quanto una voce potesse continuare a gridare, una voce che gridava diritta attraverso il tempo. Ci fu un movimento nelle tenebre, sospiri e fruscii e battiti, una ridistribuzione di antichi secoli, un'evasione delle ombre del futuro nel tempo che apparteneva loro di diritto.

— Luce, luce — disse una voce immensa in grandi sillabe una volta, o innumerevoli volte. — Luce. Un ceppo sul fuoco, là. Un poco di luce. — Era il medico venuto da Spreve. Egli era entrato nel circolo. Il circolo era ormai spezzato. Il medico era chino sui Pazzi, i più fragili, i punti di fusione; entrambi giacevano inerti sul pavimento. L'in-kemmer giaceva con la testa sulle ginocchia di Faxe, respirando affannosamente, in ansiti rauchi, ancora tremando; la mano di Faxe, con gentilezza distratta, accarezzava i capelli dell'in-kemmer. Il Pervertito era rimasto da solo, in un angolo, imbronciato e dimenticato. La seduta era finita, il tempo passava come d'uso, la tela di potenza si era dissolta nella stanchezza, nella miseria e nel dolore. Dov'era la mia risposta, l'enigma dell'oracolo, l'ambigua formulazione della profezia?

Mi inginocchiai accanto a Faxe. Lui mi guardò con i suoi occhi limpidi. Per quell'istante, lo vidi come l'avevo visto nel buio, come una donna armata di luce e bruciante su un fuoco, che aveva gridato — Sì…

La voce gentile di Faxe spezzò la visione.

— Colui che chiede ha avuto risposta?

— Ho avuto la risposta, Tessitore.

E avevo avuto davvero la risposta. Tra cinque anni Gethen sarebbe stato un membro dell'Ecumene: sì. Nessun enigma, nessuna ambiguità. In quel momento, mi resi conto della qualità della risposta, non tanto una profezia quanto un'osservazione. Non riuscii a sfuggire alla certezza, che stavo provando, che la risposta fosse giusta. Aveva l'imperiosa chiarezza di un presagio.

Noi abbiamo le astronavi NAFAL e la trasmissione istantanea e il linguaggio mentale, ma non siamo ancora riusciti ad addomesticare il presagio, fino a imbrigliarlo e tenerlo al nostro servizio; per questo, dobbiamo andare su Gethen.

— Io servo come filamento — mi disse Faxe un giorno o due dopo la Profezia. — L'energia si accumula e si accumula in noi, e viene rimandata e rimandata, raddoppiando l'impulso ogni volta, finché essa non riesce a passare e la luce è in me, intorno a me, io sono la luce… Il Vecchio della Fortezza di Arbin ha detto un giorno che se il Tessitore potesse venire posto nel vuoto, nel momento della Risposta, continuerebbe a bruciare per anni. Questo è ciò che gli Yomeshta credono di Meshe: che egli vedesse il passato e il futuro chiaramente, non per un momento, ma per tutta la sua vita, dal giorno della Domanda di Shorth. È difficile crederlo. Dubito che un uomo possa sopportarlo. Ma non importa…

Nusuth, l'onnipresente e ambiguo mondo negativo degli Handdara.

Stavamo camminando fianco a fianco, e Faxe mi fissò, il suo viso, uno dei volti umani più belli che io avessi mai visto, pareva duro e delicato come pietra scolpita. — Nelle tenebre — disse, — eravamo in dieci; non in nove. C'era uno straniero.

— Sì, c'era. Non avevo alcuna barriera contro di voi. Voi siete un Ascoltatore, Faxe, un empatico naturale; e probabilmente anche un potente telepatico naturale. È per questo che voi siete il Tessitore, colui che può trattenere le tensioni e le reazioni del gruppo, incanalandole nel disegno che si accresce da solo, continuamente, fino a quando la tensione non spezza il disegno, e voi raggiungete la risposta.

Lui ascoltò, con interesse grave e intento.

— È strano vedere i misteri della mia disciplina dall'esterno, attraverso i vostri occhi. Io li ho visti soltanto dall'interno, come discepolo.

— Se permettete… se lo desiderate, Faxe, mi piacerebbe comunicare con voi attraverso il linguaggio mentale. — Adesso ero sicuro che egli fosse un Comunicante naturale; il suo consenso e un po' di pratica sarebbero bastati ad abbassare la sua barriera inconscia.

— Se faceste questo, sentirei quel che gli altri pensano?

— No, no. Non più di quanto lo facciate già, con la vostra empatia latente. Il linguaggio mentale è una comunicazione, inviata e ricevuta volontariamente.

— Allora perché non parlate a voce alta?

— Ebbene, parlando così, si può mentire.

— E con il linguaggio della mente?

— Non intenzionalmente.

Faxe rifletté per un poco.

— Questa è una disciplina che dovrebbe suscitare l'interesse dei re, dei politicanti, e degli uomini d'affari.

— Gli uomini d'affari hanno lottato contro l'uso del linguaggio mentale quando è stato scoperto che si trattava di una capacità acquisibile con l'insegnamento e la pratica; l'hanno messa fuori legge per molti secoli.

Faxe sorrise.

— E i re?

— Noi non abbiamo più re.

— Sì. Lo vedo… Ebbene, vi ringrazio, Genry. Ma il mio compito è disimparare, non apprendere. E preferirei non imparare ora un'arte che cambierebbe interamente il mondo.

— Ma siete stato voi stesso a profetizzare che questo mondo cambierà, entro cinque anni.

— E io cambierò con il mondo, Genry. Ma non ho desiderio di essere io a cambiarlo.

Stava piovendo, la lunga, battente, quasi impalpabile pioggia dell'estate getheniana. Stavamo camminando sotto gli alberi di hemmen, sui pendii che dominavano la Fortezza, dove non esistevano sentieri. La luce era grigia nel cadere dai rami oscuri, e l'acqua chiara scendeva lenta dagli aghi scarlatti. L'aria era fresca, eppure mite, e vibrava tutta del suono pigro della pioggia.

— Faxe, ditemi questo. Voi Handdarata avete un dono che gli uomini di tutti i mondi hanno sempre bramato. Voi l'avete. Voi potete predire il futuro. Eppure vivete come tutti gli altri… non sembra contare…

E come potrebbe contare, Genry?

— Bene, vediamo. Per esempio, questa rivalità tra Karhide e Orgoreyn, questa lite per la Valle di Sinoth. Mi sembra di aver compreso che Karhide ha perduto la faccia, nella maniera peggiore, in queste ultime settimane. Ora, perché Re Argaven non ha consultato i suoi Profeti, chiedendo quale rotta seguire, o quale membro del kyorremy scegliere come primo ministro, o qualche altra cosa del genere?

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