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Gli esplosivi erano vietati dalla Legge per l'Embargo Culturale, che era divenuta il principio morale basilare degli Esuli; ma alcune tribù locali, nei primi Anni dei combattimenti, avevano usato lance e frecce avvelenate. Liberatisi così del loro tabù, i dottori di Landin avevano creato alcuni veleni assai efficaci, che facevano tuttora parte dell'armamentario per la caccia e la guerra. C'erano veleni che stordivano, che paralizzavano, e altri che uccidevano lentamente o velocemente; quello dei proiettili di Agat era mortale, e richiedeva circa cinque secondi per sconvolgere il sistema nervoso di un grosso animale, ad esempio un Gaal. Il meccanismo della pistola a dardi era semplice e funzionale, e la mira era accurata fino a circa una cinquantina di metri. — Vieni fuori — gridò Agat, rivolto verso la cavità silenziosa, e le sue labbra ancora gonfie si tesero in un sogghigno. Tutto considerato, era pronto a uccidere un nativo.

— Alterra?

Un indigeno si alzò in tutta la sua statura, in mezzo agli sterpi secchi della cavità. Teneva le mani lungo i fianchi. Era Umaksuman.

— Al diavolo! — fece Agat, abbassando la pistola, ma non del tutto. La violenza repressa lo agitò per un istante, procurandogli un fremito incontrollato.

— Alterra — si affrettò a dire il tevarano, — nella tenda di mio padre eravamo amici.

— E dopo… nel bosco?

Il nativo rimase fermo in silenzio: una figura grossa e pesante, con i capelli chiari sporchi di terriccio, il viso cereo per la fame e la stanchezza.

— Ho udito la tua voce, insieme a quella degli altri. Se dovevate vendicare l'onore di vostra sorella, avreste potuto farlo uno alla volta. — Il dito di Agat era ancora sul grilletto; ma quando Umaksuman gli rispose, la sua espressione cambiò. Non aveva sperato di poter ottenere una risposta.

— Io non ero con gli altri. Li ho seguiti, e li ho fermati. Cinque giorni fa ho ucciso Ukwet, mio nipote e fratello, che li aveva guidati. Da allora sono sulle montagne.

Agat abbassò la pistola e distolse lo sguardo.

— Vieni qui — disse, dopo un poco. Solo allora compresero entrambi di essere rimasti fermi, in piedi, a parlare a voce alta, in quelle montagne pullulanti di esploratori Gaal. Agat fece una lunga, silenziosa risata quando Umaksuman scivolò nella nicchia sotto il tronco dell'albero a fargli compagnia. — Amico, nemico, che diavolo… — disse. — Prendi. — Passò all'indigeno un pezzo di pane che teneva nella bisaccia. — Rolery è mia moglie, da tre giorni.

Senza parlare, Umaksuman prese il pane e lo mangiò come un uomo affamato.

— Quando faranno un fischio da sinistra, laggiù, scenderemo tutti insieme, diretti verso quella breccia nelle mura, all'angolo nord, e faremo una corsa nella città, per raccogliere tutti i tevarani che possiamo. I Gaal ci stanno cercando intorno alla Palude, dove eravamo questa mattina, e non da questa parte. Vuoi venire?

Umaksuman annui.

— Sei armato?

Umaksuman sollevò la scure. A fianco a fianco, senza parlare, rimasero acquattati, intenti ad osservare i tetti che bruciavano, le macchie e gli scatti di movimento nelle vie distrutte della piccola città che sorgeva sulla collina, di fronte alla loro. Un cielo grigio nascondeva la luce del sole; l'odore di fumo giungeva pungente alle loro nari, portato dal vento.

Alla loro sinistra si alzò un fischio. Il fianco della collina, ad ovest e a nord di Tevar, acquistò bruscamente vita, sotto forma di uomini; piccole figure sparse che correvano piegate su se stesse, scendendo nella valle per poi risalire il pendio dall'altro lato, e concentrandosi poi sulla breccia delle mura e fra la distruzione e la confusione della città.

Quando gli uomini di Landin si incontrarono davanti alle mura della città, si riunirono a formare squadre di numero variante dai cinque ai venti uomini, e le squadre rimanevano unite, sia quando attaccavano con pistole, bolas o coltelli le bande di saccheggiatori Gaal, sia quando raccoglievano tutte le donne e i bambini tevarani che incontravano e poi ritornavano con loro all'uscita dalla città. Procedettero con tale sicurezza e tale velocità che avrebbero potuto ripetere l'incursione; i Gaal, occupati a spazzare via le ultime resistenze della città, erano stati presi fuori guardia.

Agat e Umaksuman si mantennero vicini, e un gruppo di otto o dieci si conglomerò con loro, mentre correvano per la piazza del Pestaggio, e poi per uno stretto vicolo-galleria, fino a una piazza più piccola, ed irrompevano in una delle grandi Case Familiari. Uno dopo l'altro discesero lungo la scala di terra battuta e penetrarono nell'interno buio. Uomini dalla faccia bianca, con piume rosse intrecciate fra i capelli acconciati a corno, giunsero lanciando urla e brandendo l'ascia, per difendere il bottino. Il dardo della pistola di Agat penetrò nella bocca aperta di uno dei Gaal; vide che Umaksuman staccava nettamente un braccio dalla spalla di un altro Gaal, come un boscaiolo che taglia il ramo di un albero. Poi cadde il silenzio. Le donne erano accovacciate in silenzio nella semioscurità. Un bambino continuava a piangere. — Venite con noi! — urlò Agat. Alcune delle donne si mossero verso di lui, e, vedendolo, si fermarono.

Umaksuman si stagliò dietro di lui alla poca luce della porta d'ingresso. Era curvo sotto un pesante fardello che portava sulle spalle. — Venite, portate i bambini! — ruggì, e al suono della sua voce conosciuta tutte si mossero. Agat le raggruppò sulle scale, disponendo intorno a loro i suoi uomini perché le proteggessero, poi diede l'ordine. Corsero via dalla Casa Familiare e si diressero verso la porta della città. Nessun Gaal interruppe la loro corsa: uno strano gruppetto di donne, bambini, uomini, guidati da Agat che, con un'ascia Gaal in mano, copriva la corsa di Umaksuman, il quale portava sulle spalle un grosso fardello penzolante, il vecchio capo, suo padre Wold.

Uscirono dalla porta, scambiarono alcuni colpi con un gruppo di Gaal nel vecchio accampamento; e con altre squadre di uomini di Landin e di fuggiaschi, alcune davanti a loro, altre dietro, si dispersero nei boschi. L'intera incursione attraverso Tevar aveva richiesto circa cinque minuti.

Nella foresta non c'era sicurezza. Esploratori e squadre Gaal erano sparpagliati lungo tutta la strada che portava a Landin. I fuggitivi e i loro salvatori si allargarono in gruppetti di una o due persone, dirigendosi a sud, verso l'interno dei boschi. Agat rimase con Umaksuman, che non poteva difendersi perché doveva portare il vecchio. Avanzarono a fatica tra gli alberi più bassi. Non incontrarono nessun nemico fra le macchie grige e le basse colline, i tronchi caduti e i mucchi di rami secchi e di arbusti mummificati. In qualche punto imprecisato, dietro di loro, assai lontano, una donna urlava e urlava.

Occorse loro molto tempo per spingersi a sud e ad est in un ampio semicerchio, nella foresta, sui monti e poi di nuovo a nord, finalmente, in direzione di Landin. Quando Umaksuman non poté proseguire, Wold prese a camminare, ma riuscì solamente a procedere con molta lentezza. Quando infine uscirono dagli alberi, videro le luci della Città dell'Esilio, che splendevano assai lontano, nell'oscurità e nel vento, al di sopra del mare. Semitrascinando il vecchio, percorsero ancora faticosamente un tratto sulla collina e giunsero alla Porta di Terra.

— Arrivano nativi! — esclamarono le guardie, prima ancora ch'essi giungessero abbastanza vicino, scorgendo i capelli chiari di Umaksuman. Poi scorsero Agat, e le voci gridarono: — L'Alterra, l'Alterra!

Scesero ad accoglierlo e lo portarono all'interno della città: uomini che avevano combattuto al suo fianco, avevano preso i suoi ordini, gli avevano salvato la pelle in quei tre giorni di guerriglia nei boschi e sulle montagne.

Avevano fatto quel che avevano potuto: quattrocento di loro contro un nemico che sciamava come le vaste migrazioni delle bestie… quindicimila uomini, aveva valutato Agat. Quindicimila guerrieri, e nel complesso sessanta o settantamila Gaal, con le loro tende e le pentole, le slitte a travois e gli hann, i tappeti di pelliccia e le asce, i bracciali e le culle legate alle spalle e gli acciarini, tutte le loro scarse proprietà e la loro paura dell'Inverno e la loro fame. Egli aveva visto le donne Gaal, negli accampamenti, raccogliere dai tronchi i licheni morti e mangiarli. Non sembrava possibile che la piccola Città dell'Esilio esistesse ancora, immune da quel fiume di violenza e di fame, con le torce accese sulle porte di ferro e legno scolpito, e uomini che lo accoglievano al suo ritorno a casa.

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