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Ora parlò Umaksuman: — Ascoltate, Anziani di Tevar! Voi dite questo, voi dite quello, ma non avete più niente da dire. I Gaal stanno arrivando: entro tre giorni saranno qui. State zitti e andate a fare la punta alla lancia, andate a sorvegliare le porte e le mura, perché il nemico sta arrivando, il nemico è già su di noi… guardate! — Tese il braccio verso il nord, e molti si girarono a guardare nella direzione da lui indicata, come se si aspettassero che le orde della Migrazione facessero breccia nelle mura proprio in quell'istante, tanto veemente era la retorica di Umaksuman.

— Perché non hai sorvegliato la porta da cui è uscita la tua sorella di clan, Umaksuman?

Ora la cosa era stata detta.

— È anche tua sorella di clan, Ukwet — disse Umaksuman, incollerito.

Uno di loro era figlio di Wold, l'altro era suo nipote; ed entrambi parlavano della figlia di Wold. Per la prima volta della sua vita, Wold conobbe la vergogna: la nuda, inerme vergogna davanti ai migliori del suo popolo. Rimase seduto immobile, con la testa profondamente china.

— Sì, lo è; e grazie a me, la vergogna non sovrasta la nostra famiglia! Io e i miei fratelli abbiamo spaccato i denti a quella sporca faccia con cui si è sdraiata, e io lo tenevo a terra per castrarlo come si castrano gli animali, ma tu ci hai fermati, Umaksuman. Tu ci hai fermati con i tuoi sciocchi discorsi…

— Io vi ho fermati perché non dovessimo poi combattere anche contro i Nati Lontano, oltre che contro i Gaal, sciocco! La ragazza è abbastanza adulta per dormire con un uomo, se ne ha voglia, e la cosa non ci…

— Non si è trattato di un uomo, fratello di clan, e io non sono uno sciocco.

— Tu sei uno sciocco, Ukwet, perché ti sei attaccato a questo fatto come a una buona occasione per litigare con i Nati Lontano, e in tal modo ci hai fatto perdere la nostra unica possibilità di allontanare i Gaal!

— Io non ti ascolto, bugiardo, traditore!

Si scontrarono con un urlo in mezzo al cerchio, impugnando l'ascia. Wold si alzò in piedi. Gli uomini che gli sedevano accanto alzarono lo sguardo, aspettandosi ch'egli, in veste di Anziano più vecchio e capo del Clan, fermasse la lotta. Ma egli non intervenne. Voltò le spalle al cerchio spezzato, e in silenzio, con il suo passo strascicato, rigido e pesante, si avviò lungo il sentiero, fra i tetti alti e inclinati, sotto i cornicioni sporgenti, in direzione della casa della sua Famiglia.

Discese faticosamente gli scalini di terra battuta ed entrò nel tepore fumoso e mal ventilato dell'imensa stanza scavata nel sottosuolo. Bambini e donne vennero a chiedergli se il Pestaggio fosse finito e perché egli fosse ritornato da solo. — Umaksuman e Ukwet stanno lottando — egli disse, per toglierseli di torno, e andò a sedersi accanto al fuoco, infilando le gambe nel pozzetto del focolare. Dall'accaduto non poteva venire nulla di buono. Non sarebbe più venuto nulla di buono da nessuna cosa. Quando le donne, piangendo, portarono il corpo di suo nipote Ukwet, lasciando dietro di loro una spessa scia di sangue che cadeva dal suo cranio spaccato da un colpo d'ascia, egli fissò la scena senza muoversi e senza parlare. — Umaksuman l'ha ucciso, ha ucciso il suo compagno di clan, il suo fratello — strillarono le mogli di Ukwet, rivolte a Wold, che non sollevò la testa. Infine si guardò attorno, fissandole pesantemente, come un vecchio animale chiuso da tutti i lati dai cacciatori, e disse con voce spessa: — State ferme… Non potete stare ferme?…

Il giorno successivo riprese a nevicare. Seppellirono Ukwet, il primo morto dell'Inverno, e la neve cadde sulla faccia del morto prima che la tomba fosse chiusa. Allora e dopo, Wold pensò a Umaksuman, bandito, solo nelle montagne, nella neve. Quale dei due se l'era cavata più a buon mercato?

Si sentiva la lingua molto spessa e non voleva parlare. Rimaneva accanto al fuoco e non era sicuro, a volte, se fuori fosse giorno o notte. Non dormiva bene; chissà come, gli pareva sempre di essere sul punto di svegliarsi. E stava appunto svegliandosi quando fuori, sopra il livello del suolo, cominciò il rumore.

Giunsero di corsa le donne, provenienti dalle stanze laterali, tenendo in braccio i loro piccoli Nati d'Autunno. — I Gaal! I Gaal! — strillavano. Altre erano calme come si addiceva alle donne di una grande casata, e misero in ordine e si sedettero ad aspettare.

Nessun uomo venne a chiamare Wold.

Egli sapeva di non essere più un capo; ma forse non era più un uomo? Doveva rimanere con i neonati e le donne accanto al fuoco, in un buco scavato nella terra?

Aveva sopportato la vergogna pubblica, ma non poteva sopportare la perdita della propria dignità, e con qualche tremore si alzò e cominciò a frugare nel vecchio baule dipinto, cercando la veste di cuoio e la lancia pesante, quella con cui aveva ucciso da solo un diavolo della neve, molto tempo prima. Adesso si sentiva rigido e massiccio, e da allora erano passate tutte le buone stagioni, ma egli era lo stesso uomo, quello che aveva ucciso con la stessa lancia nella neve di un altro inverno. Non era forse lo stesso uomo? Non avrebbero dovuto lasciarlo lì accanto al fuoco, all'arrivo del nemico.

Le sue sciocche donne corsero attorno a lui con grandi strilli, ed egli provò rabbia e confusione. Ma la vecchia Kerly le cacciò via tutte, gli ridiede la lancia che una delle donne gli aveva tolto e gli chiuse al collo il mantello di pelliccia grigia di korio che gli aveva cucito in autunno. Ne era rimasta almeno una che sapeva che cosa fosse un uomo. Ella lo osservò senza parlare, ed egli senti il suo doloroso orgoglio. Perciò si allontanò tenendosi ben dritto. Kerly era una vecchia bisbetica ed egli era un vecchio sciocco, ma l'orgoglio rimaneva ancora. Egli salì gli scalini ed entrò nel freddo, luminoso mezzogiorno, e da dietro le mura udì le grida di voci straniere.

Gli uomini si erano raccolti sulla piattaforma quadrata, sopra il comignolo della Casa dell'Assenza. Gli fecero largo quando egli si sollevò sulla scala a pioli. Ansimava e tremava, cosicché a tutta prima non poté scorgere nulla. Poi vide. Per qualche momento dimenticò ogni cosa, di fronte a una vista incredibile.

La vallata che si snodava da nord a sud lungo la base dei Monti di Tevar, fino al letto del fiume ad est della foresta, era piena… piena come il fiume all'epoca della sua massima portata, e formicolava, straboccava di gente. Questa gente procedeva verso sud: un'ondata lenta e confusa, scura, che si allargava e si restringeva, si fermava e ripartiva, con urla, grida, richiami, cigolii, schiocchi di frusta, il roco raglio degli hann, il vagito dei neonati, la cantilena priva di accordi di coloro che trascinavano i travois; il lampo di colore di una tenda di feltro rosso, arrotolata, i braccialetti dipinti di una donna, una penna rossa, una punta di lancia; il puzzo, il chiasso, il movimento… sempre il movimento, diretto verso il sud, la Migrazione. Ma in tutto il passato non c'era mai stata una Migrazione come questa, di così tante persone insieme. Fin dove poteva risalire l'occhio, lungo la vallata che si allargava verso nord, c'erano altre persone che venivano, e altre dopo di quelle, e altre ancora. E queste erano solo le donne e i bambini e i carichi… A fianco di quel lento torrente umano, la Città Invernale di Tevar non era nulla. Un ciottolo sulla sponda di un fiume in piena.

Dapprima Wold si senti male; poi si fece coraggio e infine commentò: — Questa è una cosa mirabile… — E lo era davvero, quella migrazione di tutte le nazioni del nord. Egli era lieto di averla potuta vedere. L'uomo che gli era più vicino, un Anziano, Anweld della Famiglia di Siokman, alzò le spalle in segno di assenso e rispose tranquillamente: — Ma è la nostra fine.

— Se si fermano qui.

— Questi non si fermeranno. Ma i guerrieri vengono dietro.

Erano così forti, così fiduciosi del loro numero, che i guerrieri venivano dietro…

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